Intervista a Chiaretta e Bon, il fumetto della libertà morale

  • durata intervista telefonica 1h 51m 3s –

(Chiaretta è la disegnatrice, all’anagrafe è Chiara Bracale, ma lei si sente più Chiaretta. Lei dice che lo sceneggiatore è il criceto Bon. Sul criceto abbiamo alcuni dubbi, ma ci assicurano che è così)

di Enrico Testino
 
 Prima domanda.
Quale è stato l’episodio della tua vita che ha dato inizio… a tutto e che ti ha fatto innamorare del fumetto?
È stato Paperinik, lo leggevo su Topolino, bellissimo! La macchina che si trasformava, cambiava la targa, e la doppia identità. Paperinik era un supereroe, un personaggio molto più figo di Topolino (che è notoriamente più antipatico)
Paperinik! Fai conto che la prima parola che ho letto ad alta voce al di fuori della scuola fu un urlo di Paperinik!
Poi ai tempi della scuola media ho scoperto i fumetti giapponesi. Negli anni ’90 le cose si scoprivano per caso, da lì mi sono appassionata ai manga.
In televisione c’era il cartone animato di Rayearth, un giorno passando di fronte all’edicola vedo che c’era il personaggio in una copertina e allora… ho scoperto che esistevano i fumetti…manga!
Questo è un altro passaggio interessante per i manga: prima uscivano in televisione e poi li trovavi in fumetto, passaggio che non esisteva per i fumetti italiani o per la maggior parte di testate, (Disney a parte, con i meravigliosi paperi che spopolavano in ogni salsa) c’era qualche adattamento per Marvel o DC, ma avevano colpito meno la mia fantasia a quel tempo.
Successivamente ho scoperto che esistevano le fumetterie, al tempo erano frequentate soprattutto da maschi. Io avevo 13 anni e, all’epoca, perlopiù c’erano 15/16enni che giocavano a Magic come se non ci fosse un domani.
Da certi punti di vista, notare di essere spesso l’unica ragazza presente mi metteva in imbarazzo, ma soprattutto mi sentivo eroica.
Perché rimango colpita dai fumetti giapponesi?
Già al tempo, erano (e spesso sono) più targettizzati… ed è quindi possibile che tutti quei titoli che amavo siano “arrivati” in modo così forte a me, perché indirizzati al mio, specifico, target.
Tutti i fumetti attivano meccanismi di identificazione e metafora, basti pensare alle “funzioni di Propp” (autore russo, tra i primi che studiò i meccanismi delle favole e fiabe popolari)
Arrivare al mio fumetto ideale è stato un percorso. Ad esempio, da piccolina mi regalavano Il Giornalino (che proprio non mi appassionava) le storie non erano avventurose e parte qualcuna, erano quotidiane, mi annoiava e continuavano a regalarmelo. Ma io volevo Topolino.
La voglia di raccontare quando ti è venuta?
Bisogna che riprendo dal racconto della ricerca del fumetto “ritagliato per me”.
Avevo letto Il Giornalino e Topolino non altro, avevo letto qualche Bonelli, ma non mi colpivano neanche quelli. Come bambina, non mi ritrovano in quelle storie, quindi leggevo le mie tonnellate di libri. Ad un certo punto infatti avevo pensato di fare la scrittrice.
Come ho detto, arrivata alle scuole medie, poi, ho scoperto che esistevano i manga! In quelli mi sono “ritrovata”.
Adesso leggo soprattutto fumetti francesi, proibitivi, come prezzo per me, allora. Infatti con 1500 lire ti portavi a casa il tuo fumetto, impossibile pensare a un cartonato d’oltralpe.
Parlando di come tu cercavi il tuo fumetto parliamo anche di questioni di “genere” (inteso come genere maschile e femminile)
Una delle chiavi del successo dei manga è che hanno targetizzato al femminile da subito. Lo shojo (fumetto al femminile) si è imposto con forza dagli anni 60, ma la rivista Shojo club esisteva già negli anni 50. I fumetti americani hanno iniziato solo recentemente. Bonelli, se non erro, con Legs Weaver. Ma anche in Legs gli autori sono degli uomini e il gusto, a mio avviso, era maschile.
Io sono contraria alle polemiche sul genere, ma a 14 anni c’è tanta ricerca di identità personale, penso sia normale. Saltavo tra una cosa e l’altra, anche Dragon Ball era tra le mie preferenze.
Però era prettamente avventuroso, diverso rispetto alla narrativa dell’eroe maschile occidentale, tipo Dylan Dog che si presenta con “ti aiuto” ma poi finisce la storia a letto. Comunque, anche nelle storie giapponesi l’eroe maschile, mh…, mandrillo è comune. Ed ovviamente, la percezione di questi personaggi di una ragazzina di 14 anni è diversa da quella che ne ho da adulta. All’epoca, l’eroe maschile piacione che salva donne riconoscenti mi era del tutto indifferente, come potevo ritrovarmici e con chi avrei dovuto empatizzare?
Comunque ho sempre avuto gusti difficili. Più o meno contemporaneo, era stato il giapponese Marmelade Boy, tradotto come Piccoli Problemi di Cuore, ad esempio, è fortemente caratterizzato per un pubblico femminile, ma a me non piaceva. Al tempo, aveva avuto un successo pazzesco.
Il fumetto giapponese mi offriva la possibilità di identificarmi in personaggi femminili eroine di storie molto avventurose, mondi fantastici, magia, trasformazioni, colori brillanti. Nel fumetto italiano non c’erano (il grosso cambiamento arrivò con Witch, qualche anno dopo), forse i francesi avevano qualcosa in più, gli Usa hanno cominciato da relativamente poco.
Per dire, Sailor Moon nasceva per un pubblico femminile, però lo guardavano anche i ragazzi, ad un certo punto si è iniziato, fisiologicamente, a mischiare le carte.
I manga hanno incontrato di più il mio carattere, forse, anche perché sono più introspettivi, più lenti, molto riflessivi, mentre il tempo narrativo del fumetto occidentale è più veloce.
E di certo, non è qualcosa che ha colpito solo me, infatti la narrativa giapponese ha avuto massicce influenze su quella occidentale, persino sul colosso Disney.
Seconda domanda.
Quale è stata la storia alla quale hai lavorato che ti ha divertito di più (non la più bella)?
Risposta, per me, facilissima: Banana? Banana!
Quando ero più ragazzina era più facile che mi divertissi a creare storie e disegnare. Quando è diventato un lavoro tra le scadenze e la promozione è diventato meno facile divertirsi. Con Banana? Banana! mi sono trovata in una condizione in cui, nonostante la situazione lavorativa, per una serie di casualità di vita, mi sono divertita lo stesso. Spesso rido ancora ora pensando ai testi.
Chiara mi hai sempre detto che, soprattutto, ti piace raccontare storie
Credo che le storie, di qualsiasi tipo, dalla pubblicità al fumetto, servano per portare l’attenzione su dei temi. Se comunichi gli stessi contenuti con un manuale, una lezione, un testo non ti arrivano così profondamente di come ti arrivano con una storia.
Penso che molte persone che raccontano storie non si rendano conto di questo, che è un potere grande.
Ovviamente essendo un potere, può andare verso il bello o il brutto…
Quello che viene espresso in una storia ti racconta qualcosa di come sei tu, sia come autore che come lettore.
Nel Signore degli Anelli, ad esempio, una delle cose che si ricorda di più è il discorso di Samvise Gamgee. “È come nelle grandi storie, quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, a volte non volevi sapere il finale, perché come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare com’era dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine è solo una cosa passeggera, questa ombra, anche l’oscurità deve passare. Arriverà un nuovo giorno e quando il sole splenderà sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro. Anche se eri troppo piccolo per capire il perché.”
Un valido esempio di come il modello “manuale scolastico” sia limitato è la storia, come te la “vendono” nei libri didattici è noiosissima. Invece se vedi un film, un documentario, Alessandro Barbero o gli “Angela” la storia diventa bella, appassionante.
Così faccio io, tante cose non te le racconto, non te le spiego. Te le mostro. Così nelle mie storie, magari nascosti, ci metto dentro i miei ideali, quello che penso.
Terza domanda
Parlaci di un personaggio che hai disegnato, cosa ti piace, cosa rappresenta per te e nell’immaginario collettivo.
E, aggiungo, che messaggio profondo hai voluto dare in quella storia?
Una storia è Banana Banana e il personaggio è quello di Amelia.
Il tema e messaggio generale della serie è di raccontare la storia d’amore tra due ragazzi. Raccontarla come una storia d’amore, come è. Senza porre l’accento sull’aspetto dell’omosessualità, ma andando all’essenza del racconto: l’amore tra due persone.
In questa storia Amelia -la migliore amica del protagonista- presenta, con il suo personaggio, con il suo essere, un tema che a me interessa molto: la libertà femminile.
Amelia è una donna forte, ha spirito imprenditoriale, è molto intelligente, ma se ha voglia di fare una cosa stupida la fa. In questo senso, può sembrare superficiale secondo i canoni interpretativi normali, ma in realtà è la totale libertà, anche dai pregiudizi, una vera libertà intellettuale e morale.
Nel racconto, Amelia ha un’avventura con Virgilio, ed è chiaro che è soltanto una storia, senza la fatica narrativa solita di giustificarla e mascherarla con il romanticismo e l’amore.
Ha la pelle scura, e la storia si ambienta a Genova, ma non viene spiegata l’origine del personaggio, io lo so, è perché lei ha il padre sudamericano, ma al lettore, a parte in questa intervista 😊, non viene detto. Questo fatto, evidente e senza bisogno di spiegazioni, racconta una realtà che è una Genova Multietnica. (una curiosità: Genova, insieme a Milano e Madrid, in Europa, è città con una grossa parte di cittadini Ecuadoriani, in questo contesto il personaggio di Amelia)
Amelia si cimenta in tante cose, perché nella sua testa lei può farlo. Ad un certo punto vuole organizzare uno spettacolo teatrale, lo fa.  È libera. Poi scrive un libro, nel terzo volume dice di voler fare una startup.
Amelia può decidere di fare qualunque cosa, non si pone limiti.
La libertà sessuale e imprenditoriale nella narrazione sociale, editoriale e quotidiana sono spesso attribuiti al maschile, di rado al femminile. Per un libro o un fumetto è più facile scardinare questo paradigma.
Se cambi la chiave di lettura, cambi l’idea e il limite percepito.
Questo è il potere di cui parlavo prima.
Poi Amelia è una persona generosa, socievole, attenta che ama prendersi cura dell’altro, dei suoi amici. Le piacciono i bambini, i vestiti e i gioielli. Questi sono aspetti che vengono considerati “femminili”, ma non vengono raccontati come tali nella storia. Questa è una cosa narrativamente essenziale, Amelia si comporta in un certo modo perché è Amelia, una persona con il suo vissuto e le sue caratteristiche, non perché è una donna.
Quarta domanda
La tua storia a fumetti preferita?
Vado a periodi. In questo momento è Il Principe e la Sarta, appena uscito per Bao Publishing.
È un libro autoconclusivo, perfetto da leggere se “sei un po’ giù di morale” e vuoi rimetterti in pace con il mondo. Anche quella storia parla dell’accettazione di sé da parte di sé stessi e da parte del mondo.
Quinta domanda
Il tuo fumetto da “cazzeggio” preferito?
Cafè Kichijoji, molto stupido e mooooolto divertente. Per rilassarsi.
Sesta domanda.
I tuoi autori preferiti?
Barbucci, Canepa, Clamp, Studio Ghibli, Hojo, recentemente c’è una autrice giapponese Kamone Shirahama che ha fatto Atelier of Witch Hat, bravissima!
Settima domanda.
Hai un “fumetto” nel cassetto che sogni di realizzare?
In realtà ce n’è più di uno… una vita non basta.
Ci sarebbe la storia di un certo ladro che ruba una serie di oggetti che sembrano non avere connessioni. In realtà quello che lui vuole è mettere in atto, tramite questi furti ed altre azioni, una rivoluzione personale. Ci lavoro con Bon da 10 anni. Anche questa storia mi interessa raccontarla per i messaggi che contiene.
Oltre ai temi personali, famigliari, adolescenziali mi interessano anche alcuni temi sociali odierni che la storia conterrà.
È un Urban fantasy, quindi la chiave è avventurosa/divertente, spero di coniugare il divertimento con il contenuto e il messaggio che voglio dare.
Ottava domanda.
Perché è importante il fumetto oggi, nel mondo e in Italia? Quale futuro?
Penso che, come umanità, abbiamo molto bisogno di storie. È una esigenza, atavica, caratteristica dell’uomo, abbiamo iniziato a disegnare storie nelle caverne. È connesso al ricordo, esorcizza la paura della morte. Idealmente, la storia sopravvive a chi l’ha scritta.
Il fumetto oggi ha la possibilità di mostrare delle strade più coraggiose sul piano narrativo, che siano ecologiche, sociali, politiche. Il fumetto va su strade che gli altri media non possono percorrere. Le serie tv, non possono percorrere strade altrettanto coraggiose perché troppo costose e perché si devono confrontare con interessi, produttori, investitori che non possono affrontare certi temi in certi modi.
Forse il fumetto è oggi il media più libero tra tutti.
Sotto certi aspetti è anche il più facile da fare arrivare al pubblico.
Immagine e parola non è il modo comunicativo di internet? Quello più attuale?
Sì, per questo il fumetto è più libero e veloce anche del libro. Il fumetto, utilizzando anche immagini, è più veloce, più diretto.
Mi ricordo nel 2014, quando Gipi era stato candidato per la prima volta al Premio Strega, ci furono molte polemiche, perché il fumetto è considerato un’arte minore.
Per innalzare il fumetto da arte minore ad arte si presentano, infatti, le storie a fumetti come “libri a fumetti”, “graphic novel”, ecc.
E questo è il punto: il fumetto è così libero anche perché non è considerato così alto. Nei fumetti puoi raccontare e affrontare una serie di tematiche con un tono esplicito che nei libri non è sempre permesso.
Unendo le parole e le immagini il fumetto diventa potente. Oggi, inoltre, è interessante la fluidità della circolazione del fumetto, lo puoi avere sulla carta, sul pc, nelle fumetterie, edicole, librerie. Continua a cambiare, pensiamo ai fumetti oggi pubblicati su instagram nelle storie o i web comic. Si moltiplicano i mezzi.
Questa fluidità e diffusione ha anche un’altra conseguenza: fa diventare, paradossalmente, il mondo molto più piccolo. Permette confronti culturali molto più veloci. Mi posso avvicinare con leggerezza a un fumetto russo, coreano, vietnamita mentre invece mi avvicinerei con più… con prudenza ad un libro russo, coreano, vietnamita…
Quindi è buon “catalizzatore” di globalizzazione?
Sì, in senso buono in questo caso. È uno strumento di avvicinamento dei popoli, ti porta ad essere incuriosito, lascia meno spazio all’immaginazione e ti fornisce, al contrario, una immagine vera, concreta.
Un esempio: le sagre giapponesi che a me hanno sempre ricordato le sagre siciliane e affascinato tantissimo ricordandomi le mie estati in Sicilia. Credo non mi sarebbero arrivate in modo così intenso, e forse non avrei cercato e trovato ponti tra due diverse tradizioni e culture, se le avessi lette su un libro.
Ci tengo a sottolineare che il libro ha altri “poteri”, alcuni più intensi del fumetto, è simile ma un po’ diverso. Non esiste un mezzo migliore in assoluto. Ogni mezzo ha le sue caratteristiche e ogni storia ha bisogno del suo mezzo.
 Ah, scusate, ultima domanda per Bon: hai qualcosa da commentare?
No, sono sostanzialmente d’accordo su tutto! Tranqui. Squit.
Per caso, qualcuno ha dei semi di girasole?

Bio Chiaretta e Bon

Chiaretta e Bon
Chiaretta nasce a Genova, dove matura un rapporto simbiotico con la focaccia e l’animazione, in particolar modo giapponese.
Nutre un amore smodato per le storie, quelle belle, raccontate in ogni loro forma, che sia videoludica o cinematografica o su piccolo schermo o su carta.
Così ormai è dipendente dalle buone storie e dal poterne raccontare. Nulla per lei è più bello che ascoltare una storia mentre vede la luce, cresce ed ogni tassello va al suo posto come in una canzone già scritta.
Quando non è presa da tutto questo o a mangiare focaccia, lavora come fumettista, grafica, illustratrice, insegnante e adattattrice di fumetti.
Tra le varie cose…
Esordisce con “Agenzia Wish” per GES, lavora con layout artist per una casa editrice americana. È stata la disegnatrice di “Geek Girl” per la casa editrice francese Miss Jungle
Autrice di “DeGustibus” e “Banana? Banana!”, pubblicate per MangaSenpai e Shockdom, rispettivamente affiancata da Mircalla Conte e Ilaria Chiocca.
Autrice di “L’inglese che incontrò gli Dei”, “La Rubrica dell’Occulto”, “Progetto Olimpus” e tante altre storie con Bon.